Il Tar Lazio (sez. III, ord. 3 aprile 2019, n. 4336 – Pres. De Michele, Est. Sinatra) ha rimesso, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiuziali:

1) se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, <<Direttiva del Consiglio relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato>>, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui agli articoli 29 comma II lettera d) e comma IV del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 e 36 comma II e comma V del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, precluda per i ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale, prorogabile per due anni, ai sensi dell’art. 24 comma III lettera a) della legge n. 240 del 2010, la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato;

2) se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, <<Direttiva del Consiglio relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato>>, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui agli articoli 29 comma II lettera d) e comma IV del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 e 36 comma II e comma V del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, sia applicata dai giudici nazionali dello Stato membro interessato in modo che il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione pubblica mediante un contratto di lavoro flessibile soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto a tempo determinato da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, non sussistendo (per effetto delle su citate disposizioni nazionali) un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori;

3) se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, <<Direttiva del Consiglio relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato>>, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui all’articolo 24, commi primo e terzo, della legge 30 dicembre 2010 n. 240, che prevede la stipulazione e la proroga, per complessivi cinque anni (tre anni con eventuale proroga per due anni), di contratti a tempo determinato fra ricercatori ed Università, subordinando la stipulazione a che essa avvenga “Nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti”, ed altresì subordinando la proroga alla “positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte”, senza stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se la stipulazione e il rinnovo di siffatti contratti rispondano effettivamente ad un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine, e comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti, non risultando così compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro

Leggi ordinanza

Informazioni aggiuntive