Secondo i giudici di Palazzo Spada va, infatti, ricordato che secondo una consolidata giurisprudenza (cfr. Cass., sez. III, 29 aprile 2015, n. 8705) la rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio e in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario petitum della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi. Ne consegue che, ove il giudice della cognizione, nel pronunciarsi sulla domanda risarcitoria, non statuisca espressamente nel senso della spettanza anche degli interessi e della rivalutazione monetaria, la relativa domanda deve ritenersi, sotto tale profilo, implicitamente respinta. Il passaggio in giudicato della sentenza di condanna al risarcimento del danno (che non contiene statuizioni espresse in merito a interessi e rivalutazione) preclude, dunque, l’ulteriore richiesta, in sede di esecuzione, di tali voci di danno.

Non osta in senso contrario la previsione contenuta nell’art. 112, comma 3, Cod. proc. amm., che riconosce al giudice dell’ottemperanza il potere di condannare al pagamento di somme dovute a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il giudicato della sentenza, atteso che tale norma presuppone che il giudicato della cui ottemperanza si tratti rechi appunto una espressa statuizione di condanna al pagamento di tali voci.  Leggi sentenza